Dalla nostra inviata Maria Domenica Celano

Maria Barbella emigrata in America per cambiare la sua condizione di donna e realizzare il suo sogno americano.

  • SOMMARIO
    • La condizione Femminile e l’Analfabetismo
    • La partenza per l’America
    • L’Arrivo a New York
    • La vita di quartiere
    • Storia di un amore
    • Il processo

La condizione Femminile e l’Analfabetismo

Il tempo in cui ha vissuto Maria era la seconda metà del 1800. Un periodo ricco di avvenimenti, che non modificò la condizione femminile e non risolse il problema dell’analfabetismo. Le donne si sposavano giovani e con matrimoni combinati, partorivano spesso e in casa, dato che la mortalità infantile era molto alta ed era necessario assicurare manodopera maschile. La nascita di una bambina era un pensiero costante per la famiglia, perché bisognava dare una dote e trovare un marito con condizioni economiche migliori.

I compiti delle donne, nei piccoli centri, ruotavano intorno alle poche esigenze fisiche, domestiche e di aiuto nella campagna.

Nelle città industriali, le donne lavoravano molte ore in luoghi poco illuminati e arieggiati. Le più “fortunate” svolgevano lavori domestici presso ricche famiglie. Non avevano orari, mangiavano poco e si riposavano in sotterranei bui, senza acqua e servizi. Le donne non avevano potere decisionale, non ricevevano un’istruzione. L’analfabetismo andava di pari passo con le pessime condizioni di vita. L’arretratezza predominava su ogni sistema e soprattutto su quello dell’istruzione. Né la Rivoluzione Francese, con i suoi principi di libertà e di uguaglianza, con l’affermazione delle dottrine della sovranità popolare e dei diritti dell’uomo, pur avendo suscitato speranze ed entusiasmo negli ambienti intellettuali più evoluti, modificò le condizioni economiche dei meno abbienti. Nemmeno l’Abolizione della feudalità, che aveva cambiato la proprietà feudale in proprietà borghese e neanche il Brigantaggio e l’Unità d’Italia apportarono modifiche e miglioramenti significativi delle condizioni nelle masse popolari.

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Gli intellettuali in Basilicata essendo anche proprietari terrieri, percepirono i diritti feudali acquisiti non più come privilegi ma un freno, che ostacolava lo sviluppo dei loro interessi economici. I contadini, da parte loro, non vedevano un effettivo miglioramento delle loro condizioni e diffidavano dalle proclamazioni di uomini che appartenevano alle classi dominanti. Gli abitanti di Ferrandina, contadini, artigiani contavano sulla generosità del baratto e sul credito, cioè sul pagherò quando posso e un poco alla volta. La terra non era sempre molto generosa e non restituiva la giusta ricompensa all’estenuante fatica, pertanto molti partivano per raggiungere l’America. Anche il fratello maggiore di Maria, Giuseppe era partito e si era stabilito in America.

La partenza per l’America

Michele, il padre di Maria, lavorava la terra ed essendo anche sarto modificava i vestiti delle due famiglie ricche, che vivevano al centro di Ferrandina in palazzi che si affacciavano sulla Chiesa di Maria Santissima della Croce. Il guadagno era insufficiente a sfamare 8 persone e per migliorare le condizioni economiche, nel 1892 con tutta la famiglia emigrò in America, entrando nel “sogno americano”.

Nella valigia di cartone vennero messi pochi averi e tra questi, il metro da sarto e le forbici. All’alba del giorno dopo del compleanno di Maria, il 24 ottobre, tutta la famiglia: Michele, Filomena, Maria, le sue sorelle: Antonia e Carmela, i suoi fratelli: Carlo e Giovanni, uscirono dalla loro casa a due piani e salirono sulla corriera postale che scendeva a valle. La traversata fu lunghissima e impervia. Quando, finalmente Maria Barbella sbarcò a New York divenne una dei 247.000 italiani sbarcati in America nel 1892. Nei vicoli di Mulberry Bend a Little Italy, Maria si ritrovò tra i molti suoi compaesani e visse la città d’oltreoceano come una Ferrandina trapiantata. A Little Italy vivevano circa 70.000 italiani e il loro vivere non era molto cambiato da quello che avevano lasciato. La povertà era la stessa, se non peggiore. Gli immigrati abitavano in caseggiati sovraffollati di gente che lavorava senza posa sino a notte fonda. Le case sembravano più stalle da bestiame che alloggi fatti per essere umani. I bambini giocavano nei canali di scolo. Le donne invecchiavano precocemente, parlavano in dialetto, camminavano frettolosamente e portavano uno scialle nero sulla testa. Gli inverni erano gelidi e non permettevano di stare a chiacchierare sui marciapiedi di fronte alle case.

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La vita del quartiere era controllata dal “padrone”: imprenditore, usuraio, banchiere. Il “padrone” vigilava sull’esistenza dei poveri immigrati. Nasce una nuova schiavitù, denominata ”schiavitù” all’italiana. Venivano inviati in Italia “agenti“ , coloro che raccontavano di un’America felice, per trovare manodopera da esportare. I racconti incantavano contadini che vivevano in miseria e così stipulavano con loro contratti di lavoro. Questi vendevano i pochi averi che avevano, oppure si facevano prestare soldi per acquistare il biglietto di solo andata, lasciavano la loro terra, gli affetti più cari per realizzare il sogno americano e partivano per oltreoceano ad aumentare i profitti del “padrone”. Alcuni padroni più facoltosi pagavano loro i biglietti navali, impegnandoli a lavorare per anni in condizioni di “semi-schiavitù” per il rimborso della traversata. La loro età andava dai 14 ai 45 anni. Le donne erano poche. Una donna ogni quattro uomini e soprattutto del nord Italia. L’arrivo ai porti di imbarco non era così facile. Sostavano per giorni nei porti affollati, in stanzoni enormi, dormivano per terra. Nei loro occhi e sui loro visi era stampata amarezza, tristezza, rassegnazione, che venivano addolcite dalla speranza del miraggio di una vita migliore. L’attesa sulle banchine dei porti era un pericolo costante per uomini, donne e bambini. Gli uomini venivano rapinati da altri disperati a volte anche uccisi. Le donne venivano stuprate e i bambini rapiti. Prima dell’imbarco venivano sottoposti ad una sommaria visita medica, che assicurava i medici militari, che tra coloro che partivano non ci fossero malati di colera, tracoma, tubercolosi. Finalmente potevano salire sulla nave, ma, in terza classe e cioè nella pancia della nave, dove ammassati non avevano possibilità di muoversi, lavarsi, soddisfare le più elementari e necessarie esigenze fisiche. L’uscita in coperta per respirare un’ora d’aria era concessa nel tardo pomeriggio o in prima serata. La traversata, se pur lunga e difficile diventava sopportabile per il paradiso della “Merica”, quel luogo così lontano ma così promettente.

L’arrivo a New York, richiedeva altre lunghe attese per gli occupanti della terza classe, che dovevano superare altre visite mediche. I migranti di terza classe conoscevano gli U.S.A., ad Ellis Island, soprannominata l’Isola delle Lacrime, perché è in questo luogo che conoscevano la loro sorte e incontravano i loro parenti. Superate i tanti ostacoli, il loro viaggio continuava per raggiungere i quartieri poveri e degradati di Baxter o di Mulberry Street, dove occupavano caseggiati a cinque o sei piani, con una spaventosa densità abitativa. La vita nel quartiere era difficile e vigeva il codice d’onore: farsi giustizia da soli. Cosa che fece Maria Barbella al rifiuto di Domenico Cataldo.

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Storia di un amore

Maria Barbella, il cui cognome arrivando in America, fu cambiato in Maria Barbieri, era una giovane ragazza, nata in una famiglia molto semplice e povera, analfabeta, che abitava in un vicolo cieco di via Dei Mille n.8 a Ferrandina. Ella aveva imparato il mestiere del padre e arrivando a New York, trovò ben presto lavoro in un laboratorio di cucito. Questo a Maria sembrò una rinascita. La sua giornata trascorreva tra fili e aghi, taglio e cucito, fino a tarda sera. Il suo modo di camminare e comportarsi non era cambiato arrivando a Little Italy, non guardava gli uomini negli occhi anzi abbassava la testa, incontrandone uno. Per dodici mesi passò davanti al chiosco di lustrascarpe di Domenico Cataldo, che non era un bell’uomo pur credendolo. Il suo viso era butterato dal vaiolo, le guance piene, il naso leggermente aquilino, la fronte stretta e sfuggente. Domenico però si riteneva un bell’uomo. Maria fu attratta dai suoi capelli neri, dai baffi ben curati e dalla sua bella corporatura. Quella sera del mese di novembre 1893 Maria si fermò a parlare con lui per la prima volta. Le parole che uscivano dalla sua bocca: “ sono della Basilicata, il mio paese è Chiaromonte. Ho mille dollari in banca. Ho ventotto anni. Sono stanco di essere scapolo. Se trovassi la ragazza giusta, la sposerei e investirei i miei risparmi in un negozio da barbiere”.

Maria non conosceva nulla dell’amore e della natura umana, soprattutto maschile. Le adulazioni di un ragazzo rivolte a lei, che si sentiva brutta e goffa, la spinsero ad iniziare la storia d’amore con Domenico, che le sembrò ogni giorno un uomo onesto e un lavoratore. Le promesse di Domenico non si concretizzavano mai. Egli prometteva di andare a conoscere i genitori di Maria, ma le sue bugie lo trattenevano, perché sposato con due figli, lasciati ad aspettare al paese. Quando la madre di Maria si accorse dei suoi rientri oltre il consueto orario, la costrinse a rivelarne il motivo. Le regole del paese dovevano essere rispettate anche in America. Maria fu costretta a cambiare luogo di lavoro e così non incontrò l’uomo di cui era innamorata per sei mesi, finché un giorno uscendo dalla fabbrica a Broadway si trovò davanti Domenico, che non si era arreso e volle riconquistarla.

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Le lusinghe di Domenico facevano sentire Maria una ragazza speciale e bella. Ella non aveva 22 anni, come dichiarato al momento del processo e la ormai non età da marito, la spinse a ricominciare la storia d’amore con Domenico: metà marzo del 1895. Gli incontri pomeridiani accadevano all’uscita dalla fabbrica e lontani da occhi indiscreti, così come avveniva al paese. Maria implorava il suo innamorato presentarsi ai suoi genitori, ma Domenico prometteva solamente. Ella che aveva già superato l’età da marito, aveva 27 anni, ancora nubile, non poteva attendere molto un matrimonio tanto desiderato già 27 anni. Sua sorella più piccola era spostata e aveva due figli, dunque non poteva attendere molto, altrimenti sarebbe rimasta “zitella” per tutta la vita. Cataldo però prometteva ma non concretizzava. Maria, un bel giorno decise di andare a vivere da lui, contrariamente alle regole ricevute. Il vivere insieme, se pur in una stanza buia e poco agevole, non durò molto perché Cataldo la rimandò alla famiglia. Il disonore aveva un codice ben preciso: farsi giustizia da soli. Il 26 aprile 1895, Maria si presentò nel bar dove l’uomo, che l’aveva illusa e disonorata, giocava a carte e con un rasoio da barba, agendo istintivamente lo passò sulla gola. L’uomo però morì per dissanguamento.

Il processo

Arrestata fu portata nella prigione di NewYork. Questa prigione, per le condizioni brutali in cui vivevano i detenuti, pur essendo ritenuti innocenti fino al processo, guadagnò il soprannome le “Tombs”. Maria ignorava il funzionamento della giustizia e con un inglese stentato raccontava di Domenico Cataldo, di quanto l’amasse, delle sue spalle larghe, dei bellissimi baffi, della sua intelligenza, che sapeva molte cose, che leggeva libri, che era un grande lavoratore e che aveva dei soldi da parte per aprire un negozio da barbiere. Tutte componenti che nel suo paese natio (Ferrandina) contavano molto per una ragazza che doveva scegliere il futuro marito. I mesi trascorsi a le Tombs non le sembravano terribili. Le giornate trascorrevano seduta su una sedia in un corridoio insieme alle altre, dopo essersi lavata, vestita e rassettato la cella. Questo dava a Maria la sensazione di essere al paese. Prima del processo, Maria ebbe la possibilità di cucirsi un vestito nuovo e la mattina in cui attraversò “il Ponte dei Sospiri“ per entrate nell’aula del tribunale era ben vestita e con un cappellino in testa. I giornali riportavano a caratteri cubitali le fasi del processo con versioni contraddittorie sulle reazioni di Maria e trascrivendo il suo cognome in Barberi.

La gente di Little Italy seguiva con molta curiosità la storia di Maria e seduti davanti ai miseri caseggiati ascoltavano e valutavano il suo destino. Il suo racconto sempre uguale e la sua epilessia non la salvarono. Condannata alla sedia elettrica fu trasferita nel carcere di Sing-Sing, dove isolata nella sua cella trascorreva le giornate seduta su una sedia a dondolo. Il 25 novembre 1896 il NewYork Journal annunciava l’ora decisiva di Maria Barbieri. Una vasta folla si riunì, quella mattina, davanti al portone del tribunale, con cartelli per urlare l’innocenza di Maria. Su qualcuno vi era scritto ”sedia elettrica per l’assassina”.

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Alle domande dei giudici Maria rispondeva con calma e con un inglese chiaro e scorrevole, sorprendendo i presenti. Durante le varie udienze le risposte non sembrano più le stesse. Il pubblico in aula era a favore di Maria. La battaglia tra i vari giudici per affermare la propria opinione teneva con il fiato sospeso tutti e intanto i giorni passavano.

Nell’ultima udienza, dopo le arringhe degli accusatori e dei difensori, Maria venne trasferita in una stanza adiacente a quella dell’udienza, per attendere il verdetto finale. La notizia di non colpevolezza fece tirare un sospiro di sollievo. Maria ritornò libera, riprese il suo posto in famiglia e alla sua vita di sempre. Il 4 novembre del 1897 il NewYork Herald annunciava il matrimonio di Maria Barberi con Francesco Paolo Bruno, barbiere trentacinquenne, giunto a New York direttamente da Ferrandina. La condizione femminile rimaneva la stessa e la pena di morte continua ad esistere in Iraq, Pakistan, Nigeria, Stati Uniti, Bangladesh, Malesia, Vietnam, Algeria, Sri Lanka.


Fonti:

  • Le terre del silenzio
  • La Gente di Mulberry Street Archivia Editore di Raffaele Pinto
  • La Signora di Sing-Sing Edizioni Giunti di Idanna Pucci
  • La città di Tricarico in età Napoleonica Archivia Editore di Filomena Pinca

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Maria Domenica Celano

Maria Domenica Celano è un’insegnante in pensione. Divulgatrice di Arte (anche culinaria) e paesaggistica Lucana e Italiana. Per Il Salotto di Ceci Simo si occupa della rubrica: Domenica in Italia.


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